Con l’ordinanzan. 27681/2023 la Suprema Corte ha chiesto la rimessione alle Sezioni Unite della seguente questione:“se, in ipotesi di procedimento di correzione di errori materiali, ove la parte non ricorrente si costituisca e resista all’istanza di correzione, così contrapponendo il proprio interesse a quello proprio della parte ricorrente, si configuri, all’esito del giudizio, una situazione di soccombenza che impone al giudice di provvedere sulle spese processuali, ai sensi dell’art. 91 c.p.c.”.
Nella predetta ordinanza interlocutoria i giudici di legittimità hanno, infatti, rimarcato come il tema della liquidazione delle spese di lite all’esito del procedimento di errore materiale di cui agli artt. 287 ss. e 391 bis c.p.c. – oggetto di contrasto, sia pure tra un orientamento “assolutamente prevalente” (contrario alla ammissibilità di una statuizione sulle spese) ed uno “assolutamente minoritario” (favorevole a siffatta statuizione) – assurge a questione di massima di particolare importanza che involge l’interpretazione di norme processuali e, dunque, pone l’evidente esigenza di un orientamento uniforme. In particolare, “ritiene il Collegio che l’orientamento tradizionale, sebbene contrastato da un unico, isolato precedente, trovi pieno fondamento unicamente nell’ipotesi in cui la parte non ricorrente non si costituisca o, pur costituendosi, non si opponga all’istanza di correzione poiché in tal caso non si determina alcuna controversia tra le parti e, pertanto, all’esito della statuizione del giudice, quale essa sia, non sono distinguibili una parte vittoriosa e una parte soccombente”.