di Fabio Ciccariello1
Introduzione
“Art Insurance”. Un sintagma certamente evocativo, che può agevolmente traslarsi in “assicurazione d’arte” o, più propriamente, “assicurazione di opere d’arte o, meglio, delle opere d’arte”. Il che, appunto, evoca in prima battute istanze di protezione del patrimonio artistico; non è un caso, del resto, che tal forma assicurativa sia tradizionalmente ricondotta, almeno sotto il profilo istituzionale, agli strumenti di tutela del patrimonio artistico; così come lo sono i sistemi di sicurezza adottati da musei e privati collezionisti, al fine di stornare il rischio di furti, rapine e danneggiamenti volontari delle opere d’arte; così come lo sono la creazione di database e le attività di intelligence da parte di forze di polizia ed autorità internazionali, al fine di contrastare il trafugamento ed il traffico illecito di opere d’arte; così come lo sono le misure tecnico-ingegneristiche, elaborate al fine di garantire la maggiore protezione alle opere, minimizzando i danni nel caso di eventi accidentali; così come lo sono, infine, le norme che disciplinano i prestiti delle opere sottoposte a tutela pubblica. Tutti gli strumenti di protezione del patrimonio artistico da ultimo citati condividono con la misura assicurativa l’esigenza di far fronte ad un “rischio” cui sono esposte le opere d’arte. Ma v’è, a ben vedere una differenza fondamentale. Le prime mirano in qualche modo a “sottrarre” l’opera d’arte al rischio o, quantomeno, a minimizzarne gli effetti. Oggetto immediato di tutela è, cioè, la res, l’opera d’arte in quanto tale. Nel caso delle assicurazioni, la funziona è ben diversa. Funzione dell’assicurazione non è evitare che l’evento dannoso colpisca l’opera, non è impedire che quest’ultima sia rubata, danneggiata, distrutta. Ma, ben diversamente, funzione dell’assicurazione è quella di tutelare gli interessi economici del proprietario dell’opera d’arte di fronte a tali eventi, garantendo una reintegrazione del suo patrimonio non “in natura” bensì “per equivalente”. In definitiva, contraendo un’assicurazione non si storna il rischio che il patrimonio artistico sia sottratto alla fruizione del suo proprietario e della collettività. Semplicemente si garantisce che il patrimonio di chi detiene o possiede l’opera non venga “leso dalla lesione dell’opera”; ed è questo il rischio è alla base della misura assicurativa.
Breve storia dell’assicurazione.
Quello di proteggersi contro i rischi − e, segnatamente, dalla perdita dei propri beni (per i motivi più disparati: furto, smarrimento, sottrazione, distruzione) − è di certo uno dei bisogni più antichi e primari dell’essere umano.
Ne è, in qualche modo, una riprova il fatto che si rinvengono tracce delle prime e risalenti (forse sarebbe più corretto dire “arcaiche”) forme assicurative negli usi dei popoli più antichi.
Quel che è certo è che il contratto di assicurazione inteso in senso moderno (ossia, come vedremo, quale strumento d’assunzione del rischio di pagare una certa somma, al verificarsi di determinati eventi, in cambio di un “premio”) si affermò in Italia, tra il XIII e XIV secolo. Ed il perché non è difficile immaginarlo: tra le avventure che maggiormente hanno stimolato l’esigenza di strumenti di protezione contro gli imprevisti, c’è sicuramente la navigazione. Proprio la tutela dei viaggi in mare ha raffinato nel corso dei secoli le modalità di protezione, generando qualcosa di molto simile alle moderne assicurazioni. Spesso è stata la violenza del mare a suscitare la domanda di assicurazione, altre volte gli atti di pirateria. Per cui non è un caso che le prime compagnie siano sorte proprio nell’Italia delle Repubbliche Marinare.
Così, la prima società di assicurazioni (dal nome indubbiamente evocativo: Tam mari quam terra) nasce a Genova, nel 1424. Avrebbe origine genovese anche il primo codice in materia, ordinato dal doge Gabriele Adorno nel 1369. Con esso sono dichiarati validi i contratti per viam cambi seu assecuramenti e si ha, dunque, un esplicito e definitivo riconoscimento legale dell’assicurazione marittima, combattuta prima, al suo nascere, come cosa immorale e illecita. La prima polizza risulterebbe invece redatta a Pisa nel 1381.
L’altro luogo chiave di questa lunga storia è Londra e, in particolare, una oscura taverna nei pressi della London Tower. Qui Edward Lloyd, proprietario di un piccolo caffè aperto nel 1688, a utilità dei suoi clienti, gravitanti intorno al porto, avviò nel 1696 la pubblicazione di un bollettino di notizie relative al commercio e alla navigazione (Lloyd’s News). In breve il caffè si trasformò in luogo d’incontro tra mercanti in cerca di chi assicurasse i loro traffici e uomini d’affari. Questo servizio divenne così importante ed influente da trasferirsi nella City, il quartiere degli affari, dove si trasformò in un meccanismo con cui gli assicuratori condividevano tra loro i rischi legati alle disavventure dei clienti. Con il tempo i primi si costituirono in corporazione (Lloyd’s Corporation, riconosciuta con il Lloyd’s Act del 1871) con lo scopo di frazionare tra più persone oneri e profitti dell’attività assicurativa; questa si estese dai soli rischi marittimi a ogni altro genere di rischio. Nacquero così i Lloyd’s di Londra, assicuratori che tutt’oggi si pongono ai vertici del relativo mercato.
L’assicurazione: il contratto e l’impresa.
Prima di addentrarci nella trattazione dello specifico tema oggetto della lezione, si impone una veloce, ma per quanto possibile completa, panoramica sull’istituto delle assicurazioni in generale, onde desumerne i concetti basilari nonché i principi e le regole che ne fondano la disciplina. Quello dell’assicurazione delle opere d’arte è pur sempre, e innanzitutto, un fenomeno giuridico e, come tale, deve essere necessariamente affrontato.
▪ Premessa. Fonti normative
Come detto, storicamente i rischi connessi alla navigazione sono stati i primi ad essere oggetto della misura assicurativa. In Italia, ancora il codice di commercio del 1865 si limitava in sostanza a disciplinare le sole assicurazioni marittime, di fatto non considerando quelle terrestri. Solo con l’avvento del successivo codice di commercio del 1882 l’assicurazione terrestre assunse una propria dignità ed autonomia, per poi acquisire un ruolo centrale nella codificazione del 1942, laddove venne affidata la disciplina degli aspetti generali del contratto di assicurazione al codice civile (artt. 1882 ss.), demandando al codice della navigazione la regolamentazione delle assicurazioni marittime ed aeronautiche.
La prima disciplina organica dell’esercizio dell’attività assicurativa si deve, invece, al d.p.r. 13 febbraio 1959, n. 449 (“Testo Unico sull’esercizio delle assicurazioni private”) che ha costituito per lungo tempo il testo fondamentale in materia. Attraverso poi una serie di provvedimenti attuativi di direttive comunitarie che hanno profondamente inciso sulla disciplina dell’impresa di assicurazione, si è quindi giunti al Codice delle assicurazioni (d.lgs. 7 settembre 2005, n. 209; in breve, “c. ass.”), entrato in vigore il 1° gennaio 2006. Con esso il legislatore, facendo tabula rasa pressoché di tutti i precedenti strumenti normativi di attuazione della normativa comunitaria, è intervenuto a ridisegnare la disciplina dell’attività assicurativa, operando una significativa opera di “pulizia” ed armonizzazione del sistema. Fortemente dibattuta è stata la scelta, poi seguita, di mantenere la disciplina generale del contratto di assicurazione nell’originaria sede e, dunque, al di fuori del Codice delle assicurazioni, all’interno del codice civile. Quest’ultimo, peraltro, si occupa esclusivamente delle assicurazioni private, mentre la disciplina delle c.d. assicurazioni sociali – che dà luogo a rapporti di diritto pubblico – è, invece, demandata ex art. 1886 c.c. alle leggi speciali (tali, ad es., quelle contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, quelle contro l’invalidità, ecc.).
▪▪ La funzione del contratto e l’impresa di assicurazione
Ai sensi dell’art. 1882 c.c., l’assicurazione è il contratto col quale l’assicuratore, verso il pagamento di un premio, si obbliga a rivalere l’assicurato, entro i limiti convenuti, del danno ad esso prodotto da un sinistro, ovvero a pagare un capitale o una rendita al verificarsi di un evento attinente alla vita umana.
Con tale definizione il legislatore ripropone evidentemente la tradizionale dicotomia tra assicurazione contro i danni, nella quale l’assicuratore si obbliga a rivalere l’assicurato del danno cagionato da un sinistro, ed assicurazione sulla vita, lì dove l’assicuratore si obbliga a pagare un capitale o una rendita al verificarsi un evento (morte o sopravvivenza ad una determinata età) relativo alla vita umana. Comune ad entrambe le fattispecie è la prestazione dell’assicurato, definita in modo unitario quale premio, nonché l’incertezza che connota la prestazione dell’assicuratore; incertezza riconducibile al se ovvero al quando l’evento dedotto si verificherà (c.d. rischio). Sotto il profilo funzionale le due forme assicurative restano, invece, nettamente distinte: la prima ha carattere indennitario, la seconda ha natura previdenziale. Anche da ciò deriva la scelta adottata dal legislatore del 1942 di dettare una disciplina specifica per ciascuno dei due tipi di assicurazione, accanto ad una disciplina generale, comune ad entrambi i rami assicurativi ed applicabile solo in quanto non espressamente derogata dalla prima.
In entrambi i casi, comunque, il contratto di assicurazione si configura quale:
contratto commutativo, con prestazioni legate da un evidente nesso di reciprocità tra la prestazione dell’assicuratore e quella del contraente (c.d. sinallagma).
contratto aleatorio, posto che al momento della sua conclusione le parti non sanno quali potranno essere le conseguenze economiche del verificarsi di un determinato evento e, anzi, normalmente ignorano se o quando questo si verificherà. Sicché può accadere che l’assicuratore, pur avendo incassato regolarmente i premi, non sia tenuto a pagare alcuna indennità ovvero che l’ammontare della stessa sia minore dei premi versati.
L’operazione economica dell’assicuratore è fondata su di un procedimento tecnico complesso, attraverso il quale egli riesce ad eliminare il rischio o, più correttamente, a neutralizzarne gli effetti, distribuendolo tra la massa di assicurati, così lucrando la differenza tra l’ammontare dei premi riscossi e quello degli indennizzi corrisposti.
Questo risultato − che si ottiene raccogliendo una massa di rischi omogenei e costituendo, attraverso i premi incassati (calcolati sulla base delle risultanze statistiche che uno specifico evento si verifichi, in un dato periodo, all’interno di una collettività), un fondo idoneo a far fronte alle conseguenze patrimoniali dannose derivanti dal verificarsi di un determinato evento − proprio perché necessariamente implica un’attività sistematica di assunzione dei rischi, richiedendo la stipulazione di una serie coordinata di contratti omogenei, è realizzabile soltanto nell’esercizio di un’attività imprenditoriale. Non è un caso, dunque, se, in ossequio al combinato disposto di cui agli artt. 1883 e 2195, 1 co., n. 4, c.c. ed 11 c. ass., l’assicuratore è necessariamente un imprenditore commerciale che esercita professionalmente attività assicurativa.
Al controllo ed alla vigilanza sulle imprese di assicurazione è preposto l’IVASS – Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni, soggetto di diritto pubblico che, a seguito della conversione in legge del decreto n. 95/2012, ha sostituito il soppresso ISVAP nell’espletamento delle sue funzioni allo scopo di garantire la sana e prudente gestione delle imprese di assicurazione e la trasparenza e la correttezza dei comportamenti delle imprese, avendo riguardo, tra l’altro, alla tutela degli assicurati e degli altri aventi diritto a prestazioni assicurative, all’informazione ed alla protezione dei consumatori (art. 3 c. ass.). All’IVASS spetta, altresì, concedere l’autorizzazione per l’esercizio dell’attività assicurativa sul territorio della Repubblica alle imprese aventi sede in Italia (artt. 13 ss. c.ass.) o in Paesi terzi (art. 28 c.ass.); per le imprese aventi sede in uno Stato membro è, invece, sufficiente una preventiva comunicazione all’IVASS da parte della corrispondente autorità di vigilanza di tale Stato (artt. 23 s. c. ass.).
Figure tipiche nel settore assicurativo sono l’agente ed il mediatore di assicurazione (c.d. broker); in entrambi i casi l’esercizio della relativa attività è subordinato all’iscrizione negli appositi albi ed è soggetto alla vigilanza dell’IVASS.
L’agente di assicurazione è la persona fisica o giuridica che assume stabilmente l’incarico di promuovere la conclusione di contratti per conto di un’impresa assicuratrice. Egli è un collaboratore autonomo dell’impresa preponente (c.d. agenzia libera) e va, dunque, tenuto nettamente distinto da coloro che sono preposti alla gestione delle c.d. agenzie in economia, strutture facenti parte integrante dell’organizzazione interna dell’impresa (uffici staccati o sedi secondarie). Se l’agente è espressamente autorizzato non solo a promuovere la conclusione dei contratti ma anche a stipularli in nome e per conto del preponente, si presume che la procura comprenda anche il potere di compiere gli atti relativi alle modificazioni e alla risoluzione dei medesimi contratti (art. 1903, 1 co. c.c.). E, in tal caso, egli avrà anche la rappresentanza processuale attiva e passiva dell’assicuratore (art. 1903, 2 co. c.c.).
Il broker, invece, è colui che esercita professionalmente l’attività volta a mettere in diretta relazione con le imprese di assicurazione o riassicurazione i soggetti che intendano provvedere con la sua collaborazione alla copertura dei rischi, assistendoli nella determinazione del contenuto dei contratti e collaborando eventualmente alla loro gestione ed esecuzione (art. 1, l. n. 792/1984). Il broker, che non è vincolato all’assicuratore da alcun impegno di sorta, deve agire con l’indipendenza e la correttezza propria del mediatore. La figura del broker assume una precipua rilevanza proprio in tema di art insurance, là dove una forma di assistenza e consulenza tecnica rappresenta di certo un quid pluris per colui che intenda assumere un’adeguata copertura per le proprie opere.
▪▪▪ Il contratto di assicurazione: disposizioni generali
I contratti di assicurazione, proprio perché stipulati nell’esercizio di un’attività di impresa, hanno normalmente un contenuto standard, predisposto unilateralmente dall’assicuratore per regolare in modo uniforme i rapporti negoziali con una massa indifferenziata di clienti. Essi, dunque, sono soggetti alla disciplina dei contratti conclusi mediante moduli o formulari di cui agli artt. 1341 e 1342 c.c. e, nell’ipotesi in cui intercorrano con un soggetto qualificabile come consumatore, anche a quella sulle clausole abusive prevista dagli artt. 33 ss. c. cons.
L’art. 166 c. ass. espressamente dispone, onde garantire tutela effettiva al contraente, che il contratto e ogni altro documento consegnatogli dall’impresa va redatto in modo chiaro ed esauriente e che le clausole che indicano decadenze, nullità o limitazioni delle garanzie ovvero oneri a carico del contraente e dell’assicurato sono riportate mediante carattere di particolare evidenza. Al fine di garantire la trasparenza contrattuale, il codice delle assicurazioni altresì prescrive espressamente l’obbligo per l’impresa assicurativa di consegnare al contraente, prima della conclusione del contratto ed unitamente alle condizioni di assicurazione, un documento informativo contenente le notizie, diverse da quelle pubblicitarie, che sono necessarie, a seconda delle caratteristiche dei prodotti e dell’impresa di assicurazione, affinché il contraente e l’assicurato possano pervenire a un fondato giudizio sui diritti e gli obblighi contrattuali e, ove opportuno, sulla situazione patrimoniale dell’impresa (art. 185, 1 e 2 co., c. ass.). È, inoltre, previsto che il contenuto e lo schema della nota informativa siano disciplinati dall’IVASS con apposito regolamento (art. 185, 3 co., c.ass.).
Per il contratto di assicurazione è richiesta la forma scritta ad probationem (art. 1888, 1 co., c.c.), necessaria, cioè, ai soli fini della prova e non per la validità del contratto. A tal proposito, il codice civile pone a carico dell’assicuratore l’obbligo di rilasciare al contraente la polizza di assicurazione (art. 1888, 2 co.), che è documento probatorio tipico del contratto di assicurazione. La polizza, come ogni altro documento comprovante l’avvenuta stipulazione del contratto, deve essere sottoscritta dall’assicuratore. La quietanza, invece, non fornisce prova del contratto, in quanto documento che attesta esclusivamente l’avvenuto pagamento del premio. Nelle more delle trattative, le parti possono stipulare la c.d. nota di copertura, ossia un vero e proprio contratto a breve termine, destinato a coprire in via provvisoria il rischio sino all’eventuale conclusione del contratto definitivo.
I soggetti del contratto di assicurazione sono:
da un lato, l’assicuratore e,
dall’altro, colui che si obbliga a versare il corrispettivo pattuito (il premio), genericamente individuato dal codice con l’espressione «altro contraente»; non sempre, infatti, la persona che stipula il contratto è anche l’assicurato, cioè colui che è il titolare dell’interesse esposto al rischio, ovvero, nell’assicurazione sulla vita, il beneficiario, ossia il soggetto a favore del quale l’assicurazione è stipulata ed al quale spetterà l’indennizzo. Accade, infatti, di frequente che il contratto, stipulato da un soggetto, debba produrre i suoi effetti a vantaggio di un altro soggetto.
Le ipotesi in cui non c’è coincidenza tra il contraente, da una parte, e l’assicurato o il beneficiario, dall’altra, sono espressamente disciplinate dal codice civile, che parla in tal caso di assicurazione in nome altrui (art. 1890), di assicurazione per conto altrui o per conto di chi spetta (art. 1891) e di assicurazione a favore di terzo (art. 1920).
Elemento essenziale del contratto di assicurazione è, come già anticipato, il rischio, inteso come la possibilità che un determinato evento si verifichi nel futuro, ovvero come la possibilità che un evento certo (la morte) si verifichi in un momento prossimo anziché remoto. Il rischio deducibile nel contratto (c.d. rischio assicurabile) può, quindi, avere ad oggetto qualunque evento non ancora verificatosi, purché non impossibile. Ai sensi dell’art. 1895 c.c. il contratto è nullo se il rischio non è mai esistito o ha cessato di esistere prima della conclusione del contratto. Per la valida stipulazione di un contratto di assicurazione, è necessario dunque che il rischio esista obiettivamente. Non è invece sufficiente − tranne che in materia di assicurazioni marittime ed aeronautiche − il c.d. rischio putativo, fattispecie che ricorre nell’ipotesi in cui le parti erroneamente, seppur in buona fede, reputino come sussistente un rischio che tale non è. Se, invece, il rischio, esistente al tempo della conclusione del contratto, cessa di esistere in un momento successivo, ha luogo lo scioglimento ipso iure del contratto, ma l’assicuratore ha diritto al pagamento dei premi finché la cessazione del rischio non gli sia comunicata o non venga altrimenti a sua conoscenza (art. 1896, 1 co., c.c.).
Le informazioni circa la natura e la consistenza del rischio, sono determinanti per la valutazione della congruità del premio nonché, in generale, per la formazione del consenso dell’assicuratore. Dispone l’art. 1892, 1 co., c.c. che le dichiarazioni inesatte e le reticenze del contraente − relative a circostanze tali che l’assicuratore non avrebbe dato il suo consenso o non lo avrebbe dato alle medesime condizioni se avesse conosciuto il vero stato delle cose − sono causa di annullamento del contratto qualora il contraente abbia agito con dolo o con colpa grave. Le dichiarazioni inesatte e le reticenze non sono, invece, causa di annullamento del contratto, nell’ipotesi in cui il contraente abbia agito senza dolo o colpa grave; tuttavia, l’assicuratore può recedere dal contratto stesso, con dichiarazione da farsi all’assicurato nei tre mesi dal giorno in cui ha conosciuto l’inesattezza della dichiarazione o la reticenza (art. 1893, 1 co., c.c.). Se, però, il sinistro si verifica prima che l’inesattezza della dichiarazione o la reticenza sia conosciuta dall’assicuratore o, comunque, prima che questi abbia dichiarato di recedere dal contratto, l’indennizzo è ridotto in proporzione della differenza tra il premio convenuto e quello che sarebbe stato applicato se si fosse conosciuto il vero stato delle cose (art. 1893, 2 co., c.c.).
Corrispettivo dell’assunzione del rischio da parte dell’assicuratore è il premio che:
è indivisibile, nel senso che deve essere corrisposto per l’intero periodo in corso, anche se il contratto è annullato o si scioglie prima della scadenza di tale periodo;
deve essere pagato anticipatamente − in un’unica soluzione o in rate periodiche − essendo presupposto essenziale per l’efficacia della copertura assicurativa (ai sensi dell’art. 1901, 1 co., c.c. se il contraente non paga il premio o la prima rata di premio, l’assicurazione resta sospesa fino alle ore ventiquattro del giorno in cui il contraente paga quanto è da lui dovuto; se, invece, alle scadenze convenute il contraente non paga i premi successivi, l’assicurazione resta sospesa a partire dal quindicesimo giorno dopo quello della scadenza: art. 1901, 2 co., c.c.).
▪▪▪▪ L’assicurazione contro i danni (quale paradigma delle forme di assicurazione delle opere d’arte).
Tra le forme di assicurazioni contemplate dalla disciplina di diritto comune, occorre soffermarsi su quella contro i danni, essendo il relativo corpus normativo quello che maggiormente viene in rilievo in tema di art insurance, laddove le polizze sono generalmente volte alla protezione di rischi riconducibili al verificarsi di sinistri (incluso furto e incendio) produttivi, appunto, di un danno (a cose).
Nell’assicurazione contro i danni, invero, l’assicuratore si obbliga a rivalere l’assicurato, entro i limiti convenuti, del danno ad esso prodotto da un sinistro (art. 1882 c.c.).
Elemento essenziale di tale contratto di assicurazione è l’interesse dell’assicurato al risarcimento del danno: la sua mancanza, nel momento in cui l’assicurazione deve avere inizio, ne determina la nullità (art. 1904 c.c.). È necessario, pertanto, che tra l’assicurato ed il bene sussista una relazione qualificata, tale, cioè, che il bene sia idoneo a soddisfare un suo interesse giuridicamente rilevante.
Tale disciplina è frutto dell’applicazione del principio indennitario che, come già accennato, informa il campo delle assicurazioni contro i danni: le somme dovute dall’assicuratore assolvono ad una funzione meramente risarcitoria, nel senso che non possono mai essere superiori al pregiudizio sofferto dall’assicurato (art. 1905, 1 co., c.c.); il ristoro del danno costituisce il fine ed anche il limite naturale dell’obbligazione risarcitoria, in quanto nessun lucro o arricchimento può derivarne per l’assicurato.
Corollario del ridetto principio è che il valore dell’indennizzo non può eccedere il valore effettivo del danno al momento dell’evento lesivo (art. 1908, 1 co., c.c.). In conformità alla regola generale di cui all’art. 2967 c.c., l’onere di provare il valore del bene assicurato e l’entità del danno grava sul soggetto assicurato. Tuttavia, tale previsione trova deroga in caso di stima convenzionale o di dichiarazione di valore del bene. Dispone, infatti, l’art. 1908, 2 co., c.c. che il valore delle cose assicurate può essere stabilito al tempo della conclusione del contratto, mediante stima accettata per iscritto dalle parti (c.d. polizza stimata; ipotesi, come vedremo, invalsa in tema di assicurazione di opere d’arte).
Sempre riconducibile al principio indennitario è la disciplina della soprassicurazione e della sottoassicurazione (o assicurazione parziale). Ai sensi dell’art. 1909 c.c., l’assicurazione per una somma che eccede il valore reale della cosa assicurata non è valida se vi è stato dolo da parte dell’assicurato; qualora, tuttavia, l’assicuratore sia in buona fede, ha diritto ai premi del periodo di assicurazione in corso. Laddove, invece, il contraente non abbia agito con dolo, il contratto ha effetto fino alla concorrenza del valore reale della cosa assicurata ed il contraente ha diritto di ottenere per l’avvenire una proporzionale riduzione del premio. Diversamente, nulla vieta alle parti di limitare la copertura assicurativa soltanto ad una parte del valore reale che la cosa assicurata aveva al tempo del sinistro; in tal caso l’assicuratore risponde dei danni in misura proporzionale (art. 1907 c.c.). Tale regola può essere tuttavia derogata dalle parti mediante la c.d. assicurazione a primo rischio, in base alla quale l’assicuratore si obbliga all’integrale copertura del danno sino alla concorrenza di un ammontare predeterminato.
Tra gli obblighi di cooperazione posti dalla legge a carico dell’assicurato, anch’essi correlati al principio indennitario, vi è quello di dare avviso del sinistro all’assicuratore o all’agente autorizzato a concludere il contratto, entro tre giorni da quello in cui il sinistro si è verificato o l’assicurato ne ha avuto conoscenza (art. 1913, 1 co., c.c.). Quest’ultimo, inoltre, deve fare quanto gli è possibile per evitare o diminuire il danno (c.d. obbligo di salvataggio; art. 1914, 1 co., c.c.). Se non adempia a tali obblighi per colpa, l’assicuratore ha diritto di ridurre l’indennità in ragione del pregiudizio sofferto. Qualora tale omissione sia imputabile a dolo, l’assicurato perde il diritto all’indennità (art. 1915 c.c.).
Si distinguono poi tre ipotesi in cui alla “copertura” del rischio concorrono più assicuratori:
assicurazione plurima, quando per la copertura del medesimo rischio siano contratte separatamente più assicurazioni presso diversi assicuratori (c.d.).
coassicurazione, che ricorre quando la medesima assicurazione o l’assicurazione di rischi relativi alle stesse cose sia ripartita tra più assicuratori per quote determinate (ipotesi, quest’ultima, normale nel caso di assicurazione di opere d’arte, il cui valore può ascendere anche a centinaia di milioni di euro). In tal caso, ciascun assicuratore sarà tenuto al pagamento dell’indennità assicurata soltanto in proporzione della rispettiva quota, anche se unico è il contratto sottoscritto da tutti gli assicuratori (art. 1910 c.c.). A differenza dell’assicurazione plurima, la coassicurazione presuppone l’accordo di tutte le parti.
riassicurazione, che, in mancanza di una specifica nozione fornita dal codice civile (quella di attività riassicurativa è, comunque rintracciabile nel nuovo codice delle assicurazioni all’art. 1, 1 co., lett. d), può essere definita come il contratto di assicurazione che un assicuratore stipula con un altro assicuratore, al fine di coprire, in tal modo, il rischio a cui rimane esposto il suo patrimonio in conseguenza dell’adempimento delle obbligazioni derivanti dai contratti di assicurazione che egli ha stipulato con i suoi clienti (artt. 1928 ss. c.c.). Ai sensi dell’art. 1929 c.c., il contratto di riassicurazione non crea rapporti tra l’assicurato e il riassicuratore, salve le disposizioni delle leggi speciali sul privilegio a favore della massa degli assicurati.
L’art. 1916 c.c. prevede la surrogazione dell’assicuratore, che abbia pagato l’indennità, nei diritti dell’assicurato verso i terzi responsabili, fino alla concorrenza dell’ammontare dell’indennità stessa. La surrogazione opera di diritto ma richiede un’apposita comunicazione dell’assicuratore al terzo.
Per surrogazione si intende, in via generale (art. 1201 c.c.) il subingresso di un terzo che si sostituisce nei diritti del creditore verso un debitore, per effetto del pagamento del debito da parte del terzo stesso.
L’alienazione delle cose assicurate non è causa di scioglimento del contratto di assicurazione. L’art. 1918 c.c. statuisce, infatti, l’automatico trasferimento del rapporto assicurativo in capo all’acquirente del bene coperto dall’assicurazione, facendo salva la possibilità per le parti di recedere dal contratto, in deroga ai principi generali in materia di successione a titolo particolare inter vivos.
L’assicurazione delle opere d’arte
▪ Origini e funzione.
Ai primi del secolo scorso le tipologie di polizze assicurative, conosciute dalla prassi, utili a tutelare le opere d’arte, erano sostanzialmente due: la polizza annuale furto e rapina e la polizza incendio. Qualche decennio dopo fu introdotta la polizza annuale eventi speciali, che integrava la polizza incendio con alcune garanzie complementari (quali, ad esempio, quelle per i danni conseguenti a eventi atmosferici, ad atti sociopolitici, ad acqua condotta, ossia al bagnamento a seguito di rottura di tubazioni) e con le garanzie “catastrofali”, cioè per danni da terremoto e alluvioni.
Tali coperture assicurative denotavano, tuttavia, due fondamentali limitazioni:
erano tutte “a rischi nominati” (named perils), cioè prestavano copertura solo ed esclusivamente per rischi specificamente identificati nella polizza, sì che i rischi non rimanevano al di fuori della protezione assicurativa (ed una situazione del tutto simile era riscontrabile nell’ambito di “rischi dinamici”, ossia quelli relativi alla movimentazione delle opere in occasione di prestiti, mostre ed esposizioni: le polizze trasporti erano anch’esse a rischi nominati e coprivano quindi i beni artistici mobili solo per gli specifici eventi all’uopo identificati);
non avevano carattere di specificità, essendo normalmente inserita in polizze danni generiche a tutela di beni materiali “comuni”, ossia privi di contenuto artistico.
Proprio tal ultima circostanza, ovvero la promiscuità dei beni assicurati, costituiva un problema soprattutto con riguardo all’adeguatezza del criterio di indennizzo per gli eventuali sinistri. Le polizze incendio stabilivano, ad esempio, che il valore della cosa assicurata, e conseguentemente la determinazione del danno, era dato dal “costo di rimpiazzo” con altra nuova ed equivalente per rendimento, al quale andava decurtato un quantum per effetto dell’uso, dello stato di conservazione e di altre circostanze rilevanti. Sennonché è agevole intuire il problema che si presentava, in caso di sinistro avente ad oggetto un’opera d’arte, la quale per definizione è unica, non rimpiazzabile e insuscettibile di “rendimento ridotto”.
L’assicurazione delle opere d’arte, così come oggi intesa, nasce proprio dalla presa di coscienza del fatto che l’arte, per la sua unicità ed originalità, necessita di un trattamento specifico e differente, poiché solamente le cose facilmente sostituibili possono essere assicurate nelle forme ordinarie.
Una forte spinta evolutiva, anche in materia di art insurance, venne poi data dai Lloyd’s di Londra che, sul finire del secolo scorso, furono tra i principali artefici del diffondersi di una “innovativa” (almeno per l’esperienza italiana) copertura assicurativa: la c.d. polizza All Risks (di cui, più avanti, parleremo diffusamente), destinata a soppiantare, specie in ambito artistico, le vecchie polizze a rischi nominati.
Al contempo, anche le coperture trasporti furono protagoniste di una significativa evoluzione e nel mondo delle mostre d’arte iniziò a prendere piede la polizza Nail to Nail, in italiano “da chiodo a chiodo”, quale strumento destinato ad assicurare le opere d’arte movimentate in occasione di mostre ed esposizioni, dal momento della loro rimozione dalla propria collocazione originaria a quando vi fanno ritorno, a fine mostra.
▪▪ Soggetti, oggetto e mercato di riferimento della copertura assicurativa
Nel processo di evoluzione del fenomeno di cui oggi parliamo, un ruolo significativo è quello assunto da alcuni trend fondamentali osservabili nei due mercati di riferimento, quello artistico e quello assicurativo.
I. In primis, l’ampliamento del concetto e del significato di opera d’arte, che è andato ad includere opere prodotte con tecniche e linguaggi interdipendenti, attraverso le variegate forme espressive cui gli artisti contemporanei fanno ricorso per realizzare i propri lavori (si pensi, esempio, ad installazioni ambientali o video, realizzate con i più disparati materiali). Parallelamente è andato ampliandosi anche il concetto di bene da collezione, sino ad includere oggetti che fino a pochi anni fa venivano considerati privi di valore artistico e che invece trovano oggi un mercato sempre più vasto (tra gli altri: automobili e giocattoli d’epoca, reliquie, fumetti, armi antiche).
II. Si è poi assistito alla crescita esponenziale del valore del mercato dell’arte, a livello globale a partire dalla fine del secolo scorso. Mercato che oggi fa registrare tra trenta e quaranta milioni di transazioni all’anno, per un giro di affari che si attesta sui 50 miliardi di euro. Ed è interessante notare come le spese per i servizi di supporto esterni (ivi inclusi quelli assicurativi) ammontino ad una somma ben superiore ai 10 miliardi di euro. Tali cifre si spiegano innanzitutto con il fatto che il mercato dell’arte e dei beni da collezione è attualmente percepito come un consolidato contesto economico-finanziario che attrae moltissimi investitori privati. Se fino a qualche anno fa l’investimento in opere d’arte e beni da collezione era prevalentemente avvertito − ancorché non mancassero collezionisti che acquistavano a scopo puramente speculativo − come un “investimento rifugio” ora viene normalmente concepito come uno “strumento finanziario e d’investimento” autonomo ed alternativo rispetto a quelli che potremmo definire “tradizionali” (obbligazioni, azioni, titoli di stato, divise estere, immobili, ecc.). V’è poi da considerare il processo di globalizzazione del mercato dell’arte, che ha determinato negli ultimi vent’anni la crescita costante del numero di istituzioni museali e parallelamente la crescente produzione di mostre temporanee, in particolare delle blockbuster exhibitions, ossia le grandi mostre che attraggono un elevatissimo numero di visitatori e sollevano grandi volumi di affari, con opere esposte (e, dunque, con coperture assicurative) del valore di centinaia di milioni di euro.
III. Non va infine trascurato il diffondersi del collezionismo privato, che assume un ruolo sempre più decisivo (come quantità e qualità) nelle transazioni di opere d’arte. Oggi grandi patrimoni artistici sono nelle mani di privati collezionisti (singoli o famiglie o fondazioni) così come molte e significative sono le collezioni corporate (ossia detenute da imprese, per lo più banche o grandi società a livello internazionale). Del pari, molto vivace è il mercato alimentato da piccoli e medi collezionisti.
I soggetti detentori di opere d’arte interessati alle coperture assicurative possono essere sostanzialmente ricondotti a cinque categorie:
collezionisti privati/corporate;
fondazioni;
enti pubblici;
organizzatori di mostre;
trasportatori/galleristi/case d’asta.
Tra tutte le categorie richiamate quella dei collezionisti privati è certamente quella commercialmente più vivace e maggiormente incline all’acquisto di coperture assicurative. Il che spiega il perché le compagnie abbiano sempre più strutturato soluzione per private client.
Viceversa, è noto che, specie per quanto concerne l’Italia, le collezioni permanenti pubbliche (musei in primis) assai di frequente non sono assicurate o lo sono in modo inadeguato. E la a ragione evidentemente risiede nella mancanza di risorse finanziarie da destinare a questa voce di spesa.
▪▪▪ Il “rischio” assicurato. L’attività di risk management nella protezione delle opere d’arte.
Ovviamente a seconda della natura del collezionista, cambia la polizza, anche e soprattutto perché diverso è il rischio (o, meglio, la categoria di rischi) cui il collezionista medesimo è (o reputa di essere) esposto. E così, ad esempio, se per il privato il rischio maggiormente percepito sarà, accanto al furto o alla rapina, quello del danneggiamento per incendio o altri eventi negativi, non solo catastrofali (terremoti, inondazioni, ecc.) ma anche semplicemente accidentali, per un ente pubblico titolare di musei il rischio in concreto più avvertito sarà quello connesso allo spostamento delle opere in occasione di prestiti e mostre itineranti.
Proprio al fine di imprimere un “cambio di passo” per i prestiti museali del Mibact (il Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo), il cui valore assicurativo complessivo dei beni culturali concessi in prestito all’estero per il 2019 (sia archeologici, sia storico artistici) è stato pari a circa 2 miliardi e mezzo di euro, all’inizio del corrente anno (circolare DG-Mu n. 1 del 9 gennaio 2020) è diventato operativo il portale www.assicuralarte.it per assicurare da chiodo a chiodo i prestiti concessi dalle 470 istituzioni museali italiane che fanno capo alla Direzione Generale Musei.
Ciò detto, la questione della tutela e sicurezza del patrimonio artistico e culturale del nostro Paese − costituito tra le altre cose da quasi 4 mila musei e circa 240 aree archeologiche − rimane tuttora aperta e foriera di aspetti problematici, specie con riferimento al rischio di furto e danneggiamento dell’opera quanto è in situ (sia esso museo, ma anche luogo di culto o piazza, nel caso di statue ed opere architettoniche). Ponendosi peraltro, nel caso delle opere di proprietà pubblica, molto spesso un problema di competenze tra enti.
La mancanza (o l’inadeguatezza) di copertura assicurativa nasce, in tal caso, oltre che dalle richiamate problematiche di “bilancio”, anche dalla sottovalutazione del rischio, reputandosi i normali sistemi di sicurezza attiva (televigilanza, guardie giurate, addetti e operatori di pubblica sicurezza) sufficienti a stornare il rischio medesimo o a mitigarlo notevolmente. Come i dati statistici e le cronache ci confermano, così purtroppo non è. Il problema del resto non è solo Italiano. L’FBI fissa il costo globale di crimini legati all’arte a quasi 4 miliardi di dollari l’anno; costo superato solo dal traffico di stupefacenti e di armi. Come dichiara il sito The Art Loss Register, il database che registra a livello internazionale le opere di prestigio rubate o false, ogni anno allunga l’elenco di circa 10.000 dichiarazioni. Tuttavia meno della metà delle opere rubate risulta assicurata.
Si pone, dunque, il problema del risk management.
Prima di procedere alla stipulazione dell’assicurazione, sia che si tratti di un museo pubblico o galleria, piuttosto che di un collezionista privato, è necessario valutare il tipo di rischi da cui il soggetto vuole proteggere la propria collezione. Il furto è sicuramente uno tra i più temuti, ma assai diffusi sono i danni dovuti da eventi dolosi ovvero, all’esatto opposto, quelli di natura prettamente accidentale.
Il risk management mira ad individuare tutti quei rischi che possono, direttamente o indirettamente, minacciare il patrimonio artistico del contraente cercando di ridurli (recte sterilizzarli sotto il profilo patrimoniale), per quanto sia possibile, tramite:
coperture assicurative specifiche ed adeguate, volte alla protezione del patrimonio dell’assicurato,
contestuale attività di prevenzione che possa incidere sulla verifica di eventi dannosi contenendone di conseguenza i relativi danni.
Ovviamente, la valutazione del rischio non è così semplice e immediata poiché quest’ultimo dipende da innumerevoli fattori non necessariamente collegati al valore dell’opera ma piuttosto dalla sua ubicazione, dall’adeguatezza dei sistemi di sicurezza e dalle condizioni di conservazione.
Nel caso in cui un collezionista privato volesse assicurare la propria collezione sarebbe opportuno che, come prima cosa, venisse effettuata la stima dell’opera attraverso una perizia accompagnata da adeguato supporto fotografico; perizia che, peraltro, viene redatta per quasi tutte le compagnie assicurative, facendo ricorso all’Object ID. Strumento, quest’ultimo, che costituisce uno standard internazionale utilizzato per la descrizione e catalogazione di beni artistici; risultato di anni di ricerca e di collaborazione tra musei, polizia internazionale e agenzie doganali, commercianti d’arte, assicuratori e periti d’arte e antiquariato.
È, in ogni caso, essenziale − anche ai fini della valutazione del rischio, rilevando a tali fine le dichiarazioni rese dall’assicurato ai sensi dell’art. 1892 c.c. (cui si è fatto cenno in precedenza) − che gli assicuratori siano adeguatamente informati dall’assicurato sui sistemi di protezione da quest’ultimo adottati al fine di tenere in sicurezza le opere possedute; sistemi volti sia alla protezione sia del contenitore (abitazione, museo, galleria) che del contenuto, attraverso l’adozione di atteggiamenti che possano scongiurare (o mitigare il rischio del verificarsi di) eventi dannosi.
Un rischio del tutto peculiare connesso alla circolazione delle opere d’arte è poi quello legato alla loro (illecita) provenienza: non è infrequente ritrovarsi acquirenti di opere la cui proprietà non è comprovata o è comunque contestata.
A copertura del rischio riconnesso a tali situazioni, sempre più compagnie offrono oggi prodotti assicurativi a protezione dell’incauto acquisto (il quale, lo si ricorda en passant, al ricorrere dei presupposti di cui all’art. 712 c.p., costituisce in ogni caso un reato).
▪▪▪▪ Dalla polizza named perils alla polizza all risks
Proprio l’eterogeneità dei rischi cui le opere d’arte sono normalmente esposte, tutti per massima parte concorrenti, dà ragione del progressivo abbandono delle tradizionali polizze named perils, ossia a “rischi nominati”, le quali − come già ricordato − nascono con un focus della tutela assicurativa limitato al furto, all’incendio e (successivamente) agli eventi catastrofici. Da tali polizze ciò che non è nominato è automaticamente escluso. Con l’ulteriore conseguenza che rimane a carico dell’assicurato l’onere di provare che l’evento dannoso rientra tra quelli elencati, al fine di poter attivare la copertura assicurativa e beneficiare della prestazione indennitaria.
All’opposto si pone la copertura All Risks, la quale viene oggi a costituire senz’altro la polizza “regina”, idonea ad assicurare il collezionista per la più ampia alea di rischio cui le sue opere sono esposte. Con tale polizza, infatti, viene ad esser coperto ogni danno conseguente a sinistri non rientranti nel novero di quelli esplicitamente esclusi. Ne consegue che, com’è facilmente intuibile, l’articolato normativo di una polizza All Risks è tendenzialmente più snello, ed efficace rispetto a quello di una polizza a rischi nominati.
Con la polizza All Risks, dunque, la compagnia di assicurazione indennizza i danni e le perdite materiali subiti dalle opere assicurate qualunque ne sia la causa e da qualsiasi motivo occasionati salvo quanto espressamente escluso nel contratto. Parliamo quindi di tutti quei rischi accidentali, e non è cosa da poco, che comprendono ovviamente anche gli incendi, gli eventi naturali e catastrofali oltre a quelli intenzionali, come appunto gli atti dolosi, il furto e la rapina.
In tema di esclusioni, ogni compagnia presente sul mercato nel settore Arte, si è posta delle linee guida e delle strategie di prodotto AII Risks che influenzano significativamente la portata della prestazione assicurativa e meritano dunque qualche approfondimento. In tutte le All Risks alcuni danni o perdite causati da o dovuti a specifici ed identificati eventi sono contrattualmente fuori garanzia, così come alcune modalità in cui gli eventi non esclusi possono verificarsi.
Un esempio per il primo caso: le polizze AIl Risks escludono il deterioramento graduale dell’opera che può essere dovuto al suo naturale invecchiamento oppure all’esposizione prolungata a fonti di luce inappropriate. Si esclude, in altre parole, il fenomeno di deterioramento nel caso in cui non sia accidentale, ma naturalmente e/o gradualmente prodotto nel tempo.
Per il secondo caso innanzi richiamato (modalità in cui gli eventi non esclusi possono verificarsi, come tali fuori garanzia) portiamo ad esempio l’esclusione dei danni da bagnamento alle opere poste sul pavimento se non per naturale destinazione: in questo caso la copertura assicurativa, escludendo solo una ben precisa modalità di accadimento di un evento, garantirà il pagamento dell’indennizzo nel caso di bagnamento di un tappeto, mentre non interverrà nell’ipotesi di danneggiamento per acqua di un dipinto dimenticato o comunque appoggiato a terra..
Ad ogni modo, volendo elencare le esclusioni normalmente previste, queste sono:
uso normale, deterioramento graduale, ossidazione, logorio, difetto intrinseco;
siccità, umidità atmosferica, esposizione alla luce, variazione di temperature, corrosione o ruggine, a meno che detti danni non risultino come conseguenza diretta di rotture incidentali di impianti idrici, di climatizzazione e/o condizionamento o comunque di controllo di temperature;
danni conseguenti a reazione nucleare, radiazione nucleare o contaminazione radioattiva;
guerra, invasioni, atti di nemici stranieri, ostilità (sia che la guerra sia dichiarata o meno), sommossa, rivoluzione, insurrezione, colpo di Stato sia militare che non.
Aspetto importante da valutare attentamente nell’ambito di coperture All Risks è la concatenazione e la consequenzialità degli eventi e dei relativi effetti sul danno finale che può, quindi, avere varie componenti. Si prenda, dunque, il caso in cui siano esclusi dalla copertura i danni causati da terremoto e si ipotizzi che un dipinto non abbia subito un danno per diretto effetto del sisma cioè, per esempio, non sia caduto dalla parete e non abbia subito lacerazioni dal distacco di calcinacci o dal crollo di opere murarie bensì sia stato investito dal fumo di un incendio sviluppatosi a seguito del terremoto. Il danno di imbrattamento da fumo, che di per sé non sarebbe escluso in quanto normale conseguenza e prodotto di un incendio, se però deriva da un incendio che è si è sviluppato per effetto del terremoto non è indennizzabile, per la logica di consequenzialità dall’evento escluso. Questo esempio è emblematico dell’attenzione che merita la lettura (e la negoziazione) di una polizza All Risks. Ci sono, infatti, esclusioni che le compagnie derogano caso per caso, dopo attenta analisi e valutazione del rischio Laddove, infatti, si concordi l’eliminazione dell’esclusione “terremoto”, la compagnia sarà tenuta ad indennizzare tutti i danni causati e derivati dal terremoto compreso il citato imbrattamento da fumo.
Sotto distinto profilo, onde consentire un soddisfacente ristoro in caso di danno parziale ad un’opera d’arte, assume fondamentale importanza che la polizza copra il cosiddetto deprezzamento, attraverso un’apposita clausola che consenta di prevedere un indennizzo per la perdita (non già dell’opera, nella sua materialità) bensì (di tutto o parte) del suo valore commerciale. L’assunto di fondo di questa particolare operatività poggia sul diverso valore che ha un’opera d’arte intonsa rispetto ad una restaurata seppur da mani esperte fosse anche dall’artista stesso. Quindi una polizza che preveda anche la copertura del deprezzamento opererà in due tempi: in primis, andrà ad indennizzare i costi del restauro posto in essere; in secundis, quantificherà in misura percentuale quanto valore avrà perso l’opera. È importante sottolineare che per i casi più gravi si potrà prevedere anche la perdita del 100% del suo valore assicurativo. Uno dei tipici casi più gravi e quindi dei beni potenzialmente più compromessi è quello di porcellane, vetri o ceramiche. Questi beni di natura fragile possono essere ricomposti con restauri anche non particolarmente dispendiosi e spesso capaci di ripristinare al meglio lo status quo ante, ma solo sotto il profilo estetico, per quanto percepibile dall’occhio umano; da un punto di vista commerciale, infatti, risultano brutalmente deprezzate, spesso fino all’intero loro valore.
Una particolare declinazione della polizza AlI Risks è la “nail to nail”, ossia quella “da chiodo a chiodo”, la quale di certo rappresenta il mezzo assicurativo più idoneo quando si rende necessario movimentare una o più opere d’arte. Le circostanze possono essere quelle relative al coinvolgimento dei beni in una mostra d’arte oppure per il trasporto da una casa ad un’altra ma anche nel caso di trasporto fatto da una casa d’aste in seguito ad un’aggiudicazione. La copertura “chiodo a chiodo” si attiva con la prima movimentazione, quindi in coincidenza della rimozione dall’ubicazione abituale, e perdura durante l’imballaggio, la collocazione in cassa, il trasporto su aereo/nave/camion, il disimballaggio, la collocazione nella temporanea sede espositiva e durante tutta la giacenza, quindi per tutto il periodo di rientro, nuovo imballaggio, collocazione in cassa per il trasporto di ritorno via aereo/nave/camion, disimballaggio e collocazione finale nel luogo ove abitualmente custodita. La particolare efficacia di questa forma assicurativa è dovuta alla mancata soluzione di continuità durante tutte le diverse ed articolate fasi elencate qui sopra. Ne deriva quale concreto beneficio che nessuna circostanza o evento sarà escluso o potrà essere considerato al di fuori delle garanzie offerte dal contratto assicurativo.
Un’alternativa alle polizze nail to nail private è la richiesta allo Stato di farsi carico, al posto del produttore, dell’assicurazione delle opere: la cosiddetta State indemnity o Garanzia di Stato, per mostre che siano state dichiarate “di rilevate interesse culturale”.
▪▪▪▪▪ La valutazione delle opere d’arte a fini assicurativi. La polizza stimata.
Dare un valore ad un’opera d’arte è questione non semplice. Tantissimi sono le variabili che intervengono. E sconfinate sono le loro possibili combinazione, specie alla luce dell’eterogenea natura dell’oggetto di valutazione, ossia, appunto, l’opera d’arte. L’Appraisers Association of America (AAA) ha approfondito gli aspetti giuridici e fiscali in riferimento alla valutazione delle opere d’arte, redigendo una guida, l’Appraising Art: The Definitive Guide to Appraising the Fine and Decorative Arts che si articola in più sezioni tra cui una riguardante la valutazione delle opere d’arte.
Le difficoltà diventano particolarmente acute quando si tratta di “coprire” con un valore assicurativo di un’opera d’arte, specialmente di un collezionista privato. Infatti, in base ai richiamati artt. 1882 e 1908 c.c., con il contratto di assicurazione l’assicurato va indennizzato dall’assicuratore per il “danno” che un determinato sinistro abbia provocato, nei limiti del valore (di fatto, mai determinabile con certezza) che le cose assicurate avevano al momento in cui questo si è verificato. L’indennizzo ha, dunque, un “tetto” costituito dall’indicazione − da parte dell’assicurato − del valore attribuito alla cosa ed in relazione al quale viene determinato il “premio” per l’assicuratore. Ma tale limite − insuperabile “verso l’alto” − non lo è egualmente “verso il basso”. In altri termini, in quanto il contratto d’assicurazione ha per oggetto l’indennizzo, se il valore indicato dall’assicurato è eccessivo rispetto a quello oggettivo, l’assicurazione è tenuta solo per la relativa minor somma. Quindi, in caso di assicurazione di opere d’arte, l’assicurato può indicare anche valori enormi per le cose assicurate ma, se un sinistro interviene (perimento o furto), l’assicurazione pagherà solo nei limiti dell’oggettivo valore delle cose assicurate (o meglio di quello che ritiene essere il valore delle stesse). E da qui si aprono interminabili “querelle”, destinate inevitabilmente a sfociare in contenziosi.
È questa la ragione per cui con il passare del tempo si è passati dalla c.d. assicurazione a stima dichiarata (in cui, appunto, l’indicazione di valore dell‘oggetto fatta dall’assicurato costituisce la mera base di calcolo del premio, ma nel caso di sinistro la compagnia provvede ex post a calcolare quale sarebbe stato il valore reale dell‘oggetto da risarcire) alla c.d. assicurazione a stima valore accettata, laddove si prevede l‘ispezione e conseguente valutazione delle opere da assicurare da parte di, un perito professionale il cui compito è di stabilire e motivare il valore concreto delle opere da assicurare ed è in conformità a questo valore che la compagnia calcola il premio di copertura e s‘impegna a risarcire il danno.
L’assicuratore e l’assicurato stipulano in questo caso un “polizza stimata” convenendo sul valore delle cose assicurate, sì ché qualora si dovesse verificare un sinistro, l’assicuratore non potrà confutare la valutazione concordata, che diviene in tal modo vincolante (art. 1908, 2° co., c.c.). Il che ovviamente non storna ogni rischio di contenzioso, posto che si tratta comunque di un negozio impugnabile per vizi del consenso, con la conseguenza che, ai sensi dell’articolo 1427 c.c., l’assicuratore, il cui consenso sia stato dato per errore, estorto con violenza o carpito con dolo, può chiedere l‘annullamento della polizza; fermo restando che, ex art. 1909 c.c., l’assicurazione per una somma che eccede il valore reale della cosa assicurata non è valida se vi è stato dolo da parte dell‘assicurato; e se non vi è stato dolo da parte del contraente, il contratto ha effetto fino alla concorrenza del valore reale della cosa assicurata, con diritto per il medesimo contraente di ottenere per l‘avvenire una proporzionale riduzione del premio.
V’è da dire, d’altronde, che proprio il sistema della stima accettata attira, e purtroppo non di rado, soggetti che provano a far accettare dalla compagnia e, quindi, ad assicurare opere d‘arte per un valore totalmente irrealistico. Contando su fatto che quest’ultima rimarrà obbligata a pagare in caso di sinistro. Sinistro che regolarmente accade. Ai professionisti di settore è noto un piccolo nucleo di opere che con una certa regolarità appaiono con domande di assicurazione a stima accettata, corredate da ingenti quantità di perizie e analisi chimiche a riprova dell’assoluta bontà dell’opera.
- Il testo ripropone il contenuto della lezione su Art Insurance tenuta il 20 novembre 2020 al Corso di perfezionamento “La circolazione dell’opera d’arte: tra cultura, tutela e investimento” presso l’Università degli Studi di Brescia. ↩︎