La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 31753/2024, si è di recente pronunziata sul tema degli effetti processuali del concorso tra la verifica di un credito in sede concorsuale e il relativo giudizio di accertamento in via ordinaria, affermando che la contemporanea pendenza di un’azione di responsabilità, promossa dal curatore nei confronti di un sindaco della società fallita, e di un’opposizione allo stato passivo, instaurata da quest’ultimo per il riconoscimento del compenso per l’attività svolta, non giustifica né l’ammissione del credito con riserva né la sospensione necessaria del giudizio di opposizione al passivo; e ciò, in quanto nell’ambito di tal ultimo procedimento, il Tribunale fallimentare è investito della competenza a decidere su tutti i fatti modificativi od estintivi dei crediti azionati dai creditori concorsuali, sì che il curatore può proporre in detta sede un’eccezione riconvenzionale d’inadempimento di un controcredito vantato dalla società poi fallita nei confronti del creditore istante al solo fine di ottenere (a seguito di cognizione in via incidentale della sussistenza di tale credito e del relativo inadempimento) il rigetto della domanda proposta da quest’ultimo di partecipazione al concorso, senza che il relativo giudizio possa o debba essere sospeso a norma dell’art. 295 c.p.c. in ragione della deduzione in via principale dell’inadempimento di tale credito in altro giudizio, innanzi al Tribunale a tal fine competente, volto ad ottenere la condanna del sindaco al risarcimento dei danni arrecati al patrimonio della società decotta.
Con la medesima pronuncia, la Suprema Corte ha altresì avuto modo di precisare che, in tema di riparto dell’onere probatorio, spetta al curatore allegare – in relazione alle circostanze di fatto del caso che ha l’onere di dedurre e dimostrare in giudizio con tutti i mezzi a tal fine utilizzabili (a partire dalla richiesta di consulenza tecnica d’ufficio) – l’inadempimento del sindaco istante (al suo dovere di vigilanza sull’attività di gestione della società: art. 2403, comma 1°, c.c.) e che spetta, poi, a quest’ultimo il compito di provare il fatto estintivo di tale dovere, costituito dall’avvenuto esatto adempimento, e cioè di aver adeguatamente vigilato sulla condotta degli amministratori, attivando, con la diligenza professionale dallo stesso esigibile in relazione alla situazione concreta, i poteri-doveri inerenti alla carica (art. 2407, comma 1°, c.c.).
In tale prospettiva, i giudici di legittimità hanno anche avuto l’occasione chiarire che, nel valutare il diritto del sindaco di società (poi fallita) a percepire il compenso prestabilito non rileva il fatto che le obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale, come quelle che gravano sui componenti del collegio sindacale, sono, di regola, obbligazioni di mezzi e non di risultato. È senz’altro vero, infatti, che il professionista, assumendo l’incarico, s’impegna a prestare la propria opera per raggiungere il risultato desiderato (come, nel caso del sindaco, la legittimità e la correttezza dell’intera gestione sociale e la sua conformità ai principi di corretta amministrazione), ma non anche a conseguirlo e che l’inadempimento del professionista non può essere, pertanto, desunto dal mancato raggiungimento del risultato utile avuto di mira dalla società, dovendo essere, piuttosto, valutato alla stregua dei doveri inerenti allo svolgimento dell’attività professionale ed, in particolare, al dovere di diligenza professionale fissato dall’art. 1176, comma 2°, c.c. (e, nel caso del sindaci, dall’art. 2407, comma 1°, c.c.). È parimenti vero, tuttavia, che il diritto del professionista al compenso richiede, nondimeno, che il giudice di merito accerti, in fatto, la concreta ed effettiva idoneità funzionale delle prestazioni svolte a conseguire il predetto risultato, essendo evidente che, in difetto, pur in mancanza di una responsabilità contrattuale del professionista a tal fine incaricato (per insussistenza, ad esempio, di danno che ne sia conseguito), non potrebbe neppure parlarsi di atto di adempimento degli obblighi contrattualmente assunti dallo stesso; il che giustifica, quindi, il rifiuto del committente, a norma dell’art. 1460 c.c., al pagamento, in tutto o in parte, del compenso (in ipotesi) maturato.