La Corte di Cassazione, con sentenza n. 35362 del 20 settembre 2024, si è pronunciata in relazione all’ipotesi di riciclaggio di danaro utilizzato da parte di due società di capitali e destinato a pagare debiti di natura fiscale, statuendo la sanzionabilità di tale condotta ai sensi dell’art. 25 octies del d.lgs. n. 231/2001, rubricato «Ricettazione, riciclaggio e impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita, nonché autoriciclaggio».
Dinanzi alla Suprema Corte, due società a responsabilità limitata avevano impugnato l’ordinanza del Tribunale del riesame di Treviso di (parziale) conferma del provvedimento di sequestro adottato a loro carico per sospetto riciclaggio di danaro di provenienza illecita (condotta commessa materialmente dall’amministratore e legale rappresentante di entrambe le società); a sostegno del gravame, i ricorrenti avevano dedotto che le somme in questione non potevano costituire un profitto illecito per le società, essendo unicamente destinate all’adempimento di obbligazioni nei confronti dell’Erario.
La Suprema Corte, nel dichiarare manifestamente infondato il gravame, ha ritenuto l’incriminata operazione societaria di indubbio vantaggio patrimoniale per le società e, dunque, correttamente eseguito il sequestro (del profitto di reato) preventivo alla confisca ai sensi dell’art. 19 d.lgs. 231/2001 e 240 bis c.p., atteso che «la disponibilità delle somme conseguita dalla società, attraverso la condotta realizzata dalla legale rappresentante (che ha consapevolmente ricevuto somme di denaro di provenienza illecita, in difetto di alcun legame funzionale o di rapporti commerciali con l’ente che aveva eseguito i bonifici, ente pacificamente operante in violazione di norme tributarie), ha incrementato il patrimonio della società che attraverso quell’operazione ha adempiuto alle obbligazioni tributarie ( possibilità che, in difetto dell’erogazione di quelle somme, non si sarebbe potuta realizzare così assumendo sia il rischio di iniziative esecutive o di liquidazione giudiziale, sia il pericolo per la società di esser posta fuori dal mercato)».
In definitiva, secondo la Corte di legittimità, ai fini della responsabilità amministrativa da reato, «la valutazione dell’esistenza del profitto va condotta considerando il momento del reimpiego, che attribuisce alla società un sicuro incremento patrimoniale, la cui destinazione non rileva per escludere il profitto realizzato in precedenza».