La Corte di cassazione, con la sentenza n. 22169 del 6 agosto 2024, si è pronunciata sulla quaestio iuris consistente nello stabilire se il surplus derivante dalla continuazione dell’attività d’impresa in concordato preventivo sia liberamente destinabile dal debitore senza vincoli di distribuzione ovvero se anche tale valore economico debba sottostare all’ordine delle cause legittime di prelazione ai sensi dell’art. 160, co. 2, l.f. (oggi art. 84, co. 5, c.c.i.i.), enunciando il seguente principio di diritto: «In caso di concordato con continuità aziendale ex art. 186-bis L.Fall. (oggi art. 87 CCII), l’eventuale surplus finanziario determinato dalla prosecuzione utile dell’attività d’impresa è da intendersi quale mero incremento di valore dei fattori produttivi aziendali, rientrando nell’oggetto della garanzia generica del credito prevista dall’art. 2740 cod. civ.; ne consegue che esso non è perciò liberamente distribuibile dal debitore, ma soggiace al divieto di alterazione delle cause legittime di prelazione».
Al riguardo, la S.C ha peraltro chiarito che il surplus finanziario che viene in considerazione altro non è che l’incremento del valore dell’azienda realizzato tramite la continuità programmata con il piano concordatario; incremento che, pertanto, deve ritenersi pacificamente rientrante nel paradigma di “bene futuro” che, in ossequio ai principi generali della responsabilità patrimoniale fissati dall’art. 2740 c.c., non può essere sottratto al soddisfacimento dei creditori, secondo l’ordine di graduazione fissato dal successivo art. 2741 c.c., ed al rispetto, quindi, nell’ambito concordatario, dell’ordine delle cause legittime di prelazione di cui all’attuale art. 84, co. 5, c.c.i.i.