Il Tribunale di Perugia, con decreto n. 299 del 2024, ha dichiarato l’ammissibilità della procedura di composizione negoziata della crisi ex art. 17 CCII anche laddove l’impresa insolvente proponga un piano meramente liquidatorio che non preveda la prosecuzione dell’attività d’impresa, neppure indirettamente.
Nello specifico, nel ripercorrere le argomentazioni alla base dell’orientamento giurisprudenziale che nega l’ammissibilità di un piano liquidatorio, il Tribunale ha affermato che «lo stato di liquidazione di un’impresa che chiede di accedere alla CNC o la predisposizione di un piano liquidatorio (anziché di continuità diretta o indiretta) da parte dell’impresa istante (in liquidazione o meno) non dovrebbero essere di per sé tali da impedire l’accesso alla CNC (o meglio determinare il rigetto da parte del Tribunale della conferma delle misure protettive eventualmente richieste). Se il valore dei beni da liquidare, insieme ad eventuali altri attivi disponibili, accompagnato da uno stralcio, consente di predisporre un piano potenzialmente accettabile da parte dei creditori (o comunque che possa apparire come ragionevole punto di partenza di una trattativa) non dovrebbe esservi motivo di impedire lo svolgimento della trattativa (e quindi di negare la conferma delle misure protettive)».
Secondo il giudice perugino, non possono, del resto, non considerarsi, quali indici che depongono nel senso della possibilità di risanare l’impresa attraverso un piano di liquidazione (totale o parziale):
- «le modalità di calcolo del test pratico sulla difficoltà del risanamento del debito […] espressamente richiamato nel CCII dagli artt. 13, comma 2, e 17, comma 3, lett. b)», posto che «a conferma della possibilità di addivenire ad una ristrutturazione del debito tramite liquidazione dei beni, tale test precisa nei criteri di calcolo dell’importo complessivo del debito da ristrutturare che quest’ultimo deve essere ridotto sia dei proventi della cessione dei cespiti dell’impresa (immobili, partecipazioni, impianti e macchinari oltre che di ramo di azienda) che dell’eventuale stralcio ipotizzabile con i creditori»;
- la previsione – rinvenibile in più referenti normativi (gli artt. 21 e 25 quinquies c.c.i.i. nonché il d.m. 28 settembre 2021), secondo cui «la composizione negoziata della crisi sia applicabile anche ad imprese “insolventi”, condizione pacificamente distinta da quella di “crisi” e, in linea di principio, prodromica ad una liquidazione dell’impresa (più che ad una prosecuzione di attività in equilibrio economico-finanziario)».
Tali indici, rendono infatti evidente, secondo la pronuncia in esame, che nell’espressione, di per sé generica, “ragionevole perseguibilità del risanamento dell’impresa” di cui all’art. 12 CCII, deve «a seconda dei casi e, in particolare della gravità della crisi dell’istante, ricomprendersi tanto il risanamento dell’”impresa” tramite una sua prosecuzione (totale o parziale) della sua attività in “continuità diretta” o “indiretta” quanto il risanamento dell’ ”esposizione debitoria dell’impresa” tramite la soddisfazione dei creditori anche con i proventi della liquidazione dell’attività».